Baja Divide: verso la costa controvento.

Alle 5 del mattino, era immaginabile, i generatori sono ancora tutti spenti e fuori é buio pesto.Prepariamo colazione, mangiamo e impacchettiamo cibi e bagagli con la sola luce delle nostre luci frontali, poi ci mettiamo in marcia anche se la luce non è ancora arrivata. Ripercorriamo a ritroso un tratto di MEX1 al buio, ci sono circa 10 gradi e il vento é freddo e ci soffia sul muso quindi fatichiamo a scaldarci anche se pedalare le bici così cariche e pesanti ci aiuta un pochino ad entrare presto in temperatura.

Imbocchiamo la pista di sabbia con le prime luci del giorno, saranno circa le sette del mattino, le quali, finalmente ci svelano il paesaggio che ci circonda: enormi cactus cardon e sassi tondi e levigati dal vento si distendono a perdita d’occhio e la pista è letteralmente coperta di soffice sabbia grigio chiaro, quasi bianca. Giochiamo un po’ con la pressione delle gomme per trovare un buon compromesso tra scorrevolezza e galleggiamento per non faticare troppo e iniziamo a navigare letteralmente su questo mare di sabbia. I fuoristrada che transitano qui per raggiungere la costa formano, con le loro gomme, delle enormi cunette, dove le nostre bici quasi ci sprofondano dentro ma riusciamo comunque a procedere con un buon ritmo.

La strada che ci porta verso la costa circumnaviga le dolci colline senza mai farci incontrare grosse pendenze o difficoltà e la pedalata si mantiene sempre piacevole. Percorrendo una di queste salitelle incontriamo un Defender che si ferma in lontananza e sembra aspettare il nostro arrivo; quando, poco dopo, lo raggiungiamo, un simpatico signore di San Diego scende dal suo mezzo e viene verso di noi:
” buongiorno ragazzi! Cosa fate di bello nel mio posto del mondo preferito?”
”Stiamo pedalando in direzione della costa, andremo a Santa Rosallillìta”
”Caspita, ma sono 200km abbondanti, avete acqua a sufficienza? Da percorrere in bici è veramente lunga!”
”Sì sì, tranquillo, ne abbiamo in abbondanza!”
”Ma posso darvene in più se volete, o qualcosa da mangiare… Non so, non posso farvi andare via così, senza darvi nulla!”
Va nel bagagliaio della jeep e se ne esce con 4 arance colte direttamente “dal suo albero” dice…
Lo ringraziamo e, a fatica, cerchiamo un posto per le arance: le nostre borse sono letteralmente piene di roba, non ci sta quasi più nulla, ma alla fine riusciamo a farle stare nella borsa da manubrio, chiudendo un po’ a fatica le zip.
Ancora più carichi riprendiamo il cammino…

Verso le 14,30 non abbiamo ancora raggiunto la costa e decidiamo di pranzare: siamo in una riserva naturale e approfittiamo di una struttura in cemento con tavoli e panche trovata in mezzo al nulla per mangiare qualcosa, nulla di che, tonno in scatola, tortillas, e un paio di arance! I cartelli informativi nei dintorni ci dicono che nella zona non è raro trovare Aquile, avvoltoi e leoni di montagna oltre, pare, agli onnipresenti coyote… Non male come zona per accamparsi di notte qui!
Intanto il venot non accenna a diminuire però finchè siamo protetti dalle colline non ce ne rendiamo tanto conto e continuiamo tranquilli ad attraversare questo posto surreale. Incontriamo un gruppo di persone a bordo di quad, ci salutano, la loro guida ci chiede se abbiamo acqua… rispondiamo di sì e proseguiamo: qui pare che tutti si preoccupino gli uni degli altri e la cosa ci piace molto, ma ci da anche la conferma che ci stiamo davvero inoltrando in una zona molto remota.

Il nostro road book indica una distanza di 236km da Catavina a Santa Rosalillìta e non segnala servizi se non un chiosco al km 160 circa, ma sembra che sia difficile trovarlo aperto poichè in un villaggio di pescatori e aperto solo nelle ore di “maggior” affluenza.
Noi intnato raggiungiamo la costa e qui il vento si fa sentire, con tutta la sua prepotenza. Ci spinge e ci sposta a seconda della direzione in cui pedaliamo, in altri momenti (sempre quando siamo in salita) ci soffia in faccia e ci ferma quasi, obbligandoci a spingere le nostre bici per avanzare senza troppa fatica. Ormai siamo abituati al peso dei nostri mezzi e solo le ripartenze in salita sono un po’ difficoltose.

Raggiungiamo la costa a San Josè del Faro, uno sparuto villaggio fantasma con tre o quattro catapecchie dei pescatori abbandonate al loro destino, alcune barche rovinate e, credo, inutilizzabili giacciono li di fianco e i segni sulle loro chiglie lasciano pensare ad una vita di lavoro duro e anche di tempi migliori per loro, mentre ora sono lì, inutilizzate e abbandonate a loro stesse.
le lamiere dei tetti sembrano voler volare col vento, sbattendo cantando un lamento continuo; non cerchiamo riparo in questa zona e lasciamo che questo equilibrio fatto di suoni e ricordi non venga turbato dalla nostra presenza e proseguiamo con, finalmente, il vento a favore lungo una spiaggia deserta. Il vento alza la sabbia più asciutta con sbuffi biancastri che ci sorpassano indicandoci la direzione da seguire.
Proseguiamo così fin verso le 16, un’ora prima che arrivi il buio, quando iniziamo a cercare un posto protetto in cui montare la tenda ma è tutto veramente piatto, dalla costa dove l’oceano sbuffa con onde altissime fino all’entroterra dove per km non c’è traccia di colline e di un riparo decente per ripararci un po’ da questo vento maledetto che ora ci rintrona fischiandoci nelle orecchie.
Manca poco al tramonto e decidiamo di accamparci direttamente lungo la strada, piazzandoci sulle dune che separano la costa dalla pista di sabbia.

Per la prima volta sfruttiamo tutti i cordini e tutti i picchetti della tenda, come non avevamo fatto nemmeno in Islanda, legandola alle nostre bici coricate a terra per non prendere il decollo (vista la mole delle bici così cariche difficilmente il vento le sposterà) e, senza contemplare troppo il paesaggio che ci circonda ci rifugiamo nella tenda che questa sera non ha assunto una forma tanto regolare e anche la stabilità della struttura sembra un po’ dubbia!
Facciamo scaldare la purée di fagioli sul fornello ad alcool che poverino, nonostante il parafiamma, fatica a scaldare la padella, e ceniamo accompagnando con tortillas fredde, carne in scatole e un po’ di sabbia.
Ci rifugiamo nei sacchi a pelo appena scende il buio, la sabbia si sta infilando attraverso i teli della tenda e la sentiamo rimbalzare sui sacchi a pelo mentre i teli della tenda sbattono tra loro facendo un gran rumore che, per fortuna o sfortuna, è un po’ coperto dalle onde enormi dell’oceano che rabbioso si sta sfogando sulla costa, fortunamnete sabbiosa e senza scogli.
A fatica prendiamo sonno, tutti coperti nei nostri sacchi a pelo e cerchiamo di addormentarci…

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