Baja Divide: Alan The Nomad.

Sono le 5 del mattino e sembra che tutti i galli del villaggio si siano dati appuntamento e abbiano iniziato a cantare all’unisono. Facciamo finta di nulla e tiriamo, sonnecchiando, fino alle 6 quando iniziamo a prepararci e caricare le bici sulla veranda davanti alla nostra stanza.

Un motociclista inglese, con la sua BMW preparata da corsa nel deserto, ci chiede che strada stiamo percorrendo e scopriamo che, più o meno, stiamo facendo lo stesso percorso e si meraviglia quando scopre che ieri la tappa percorsa con i suoi compagni di viaggio è praticamente la stessa che abbiamo intrapreso noi pedalando; “siamo arrivati in hotel stanchi morti, con le moto!!! Ma come fate voi con le bici a pedalare su questi percorsi? È impossibile!” Poi prende la mia bici, la alza con non poco sforzo e soppesandola a fatica esclama “eroi!”. Ridiamo tutti insieme e iniziamo la giornata allegramente.

Il piccolo negozio del paese apre alle 7, sono il primo ad entrare e ne approfitto per comprare provviste, 10 litri di “Aqua purificada”, cibo e snack per affrontare il prossimo tratto del percorso che ci riporterà tra le remote montagne che vediamo dinnanzi a noi.

Dopo aver attraversato i campi coltivati dai contadini di Ojos Negros, imbocchiamo la lunga e ripida pista che ci riporta in quota, a tratti molto erosa dalla pioggia e dal passaggio delle auto da corsa che a novembre hanno percorso la rinomata e famosa in tutto il mondo gara automobilistica “Baja 1000”.

Molte attività lungo la Baja California vivono di questa competizione automobilistica, una specie di Dakar che si corre ogni anno. Nei punti tappa, generalmente siti nei pressi dei paesi più grandi, i ristoranti, gli hotel e i negozi di alimentari, devono gran parte dei loro guadagni annuali alla carovana che segue la competizione; meccanici, giornalisti, piloti, accompagnatori e tutti i membri dello staff delle squadre spendono i loro soldi nelle attività locali, regalano adesivi che si possono vedere appiccicati sui vetri dei negozi e firmano autografi ai bambini e agli adulti sui poster che poi ritrovi appesi alle pareti dei ristoranti.

Lungo la salita verso il passo di giornata, senza un nome particolare, sito a circa 1000 metri di quota, iniziamo a vedere tracce di pneumatici di bicicletta, a tratti in compagni di tracce di scarpe: chi ci precede sta spingendo parecchio, la pendenza è forse esagerata per lui.

Quasi in cima iniziamo a scorgere la sagoma di un ciclista: è parecchio carico, sembra che abbia materiale per stare via molto tempo.

Lo raggiungiamo e facciamo conoscenza.
Alan “the nomad” è un signore sulla sessantina, Inglese, non pensionato ma con un lavoro (diciamo) elastico che gli consente di prendersi lunghe pause; sta svernando qui in Messico perchè così si tiene allenato! Ha già percorso una buona quantità di chilometri in Arizona ma il suo scopo è di pedalare dall’Alaska fino al Chile però deve attendere che finisca l’inverno… Vuoi mica attendere stando fermo? Allora ne approfitta per pedalare il nostro stesso percorso!

Condividiamo uno spuntino offrendogli degli snack all’ananas, ci facciamo una foto insieme e proseguiamo insieme lungo l’altipiano. Alan è tranquillo e non ha fretta quindi ci salutiamo presto, non appena inizia la lunga discesa che ci porterà verso il villaggio di Ejidio Uruapan.

La strada sassosissima e quasi distrutta dall’acqua è a tratti impraticabile, ma ci porta in una zona magnifica, sulle colline di Santo Tomàs con i suoi rinomati vigneti che, leggenda vuole, siano nati dopo che un frate italiano, a dorso di mulo, portò qui la prima vite e la capacità di impiantare un vigneto insegnandola agli indios. Le colline sono ordinate e ben tenute, i vigneti quasi a perdita d’occhio sono tutti curatissimi. Le proprietà sono ben segnalate da cartelli identificativi ma una, sopra a tutte, spicca sulle altre: una villa bianca con un lunghissimo viale alberato con degli altissimi cipressi, alcune statue nel giardino, al limite del pacchiano, la fanno sembrare la proprietà di un boss mafioso. Anche la recinzione del vigneto è diversa dalle altre: al posto dei classici paletti in legno o ferro ci sono dei piccoli pilastri in cemento bianchi, decorati.
Sul cancello del lungo viale un cartello dipinto a pennello recita più o meno così : ” questa proprietà non è in vendita quindi si prega di non insistere, sappiamo essere molto scortesi e siamo armati”… questo è il senso che ho capito io. Ovviamente non mi sono osato a scattare foto alla villa!

Continuiamo a pedalare in questo paesaggio meraviglioso, rinfrescati dall’ombra degli alberi e, di tanto in tanto, dobbiamo aprire e richiudere le recinzioni di filo spinato che dividono le proprietà. Dopo un lungo rettilineo in piano arriviamo finalmente ad un piccolo villaggio; sulla veranda di un piccolo locale campeggia un cartello “TECATE” (la famosa birra locale) e, finalmente ci fermiamo e possiamo fare merenda mangiando patatine e bevendo birra gelata!

Mentre siamo seduti sui gradini della veranda un simpatico cagnolino arriva a farsi coccolare seguito dal suo padrone (sembrava Pedro della pubblicità della alpitur, “turisti fai da te? No alpitur? Aiaiaiaiaiaiiii!!!”). Inizia una conversazione in un messicano incomprensibile ma quello che capiamo è un avvertimento circa l’impraticabilità della pista sterrata sulle montagne di Santo Tomàs in caso di pioggia e il classico “siete tutti matti a fare tutta quella fatica in bicicletta, meglio la macchina!”.

Rinfrescati e divertiti imbocchiamo la MEX1, l’unica strada asfaltata di tutta la Baja California e dopo una decina di km siamo a Egidio Uarapàn. Qui compriamo altra acqua e rabbocchiamo le scorte di cibo che ci serviranno per i prossimi due giorni.

Riprendiamo la marcia su una salita ripidissima alle spalle della bottega, passando in mezzo al villaggio fatto di casette di legno e baracche stile favelas. Un ragazzo, con la chitarra in mano, ci sorride in modo strano e ci saluta. Contraccambiamo e Samy sembra turbata: “ci guardava in modo strano quel tipo, non sono tranquilla”.
Continuiamo la salita quando, ad un certo punto, il ragazzo con la chitarra è davanti a noi: deve aver fatto il sentiero che taglia lungo i tornanti della strada. Ci saluta di nuovo e pochi metri dopo raggiunge altri ragazzi che stanno ravanando in una discarica. Si ferma con loro e noi sfiliamo via, senza dar troppo nell’occhio.

È ormai sera e avremmo voluto campeggiare in zona ma questo episodio non ci lascia tranquilli, quindi spegniamo lo spot gps in modo che non tracci più e non dia più la nostra posizione precisa e percorriamo ancora circa 15km prima di piazzare la tenda.
Troviamo un posto isolato dopo aver lasciato la strada e attraversato un po’ di prati e finalmente piazziamo la tenda in una posizione defilata che dalla strada non dovrebbe vedersi.

Ci diamo una rinfrescata usando la poca acqua di una bottiglietta, ceniamo ci frijoles refritos scaldati sul fornello ad alcool accompagnati da tortillas e ci apprestiamo a chiuderci in tenda quando notiamo, col primo buio, che un po’ di nuvole si stanno addensando sulle cime delle montagne intorno a noi.

Chissà se “Pedro” ci stava sconsigliando di venire qui perchè è prevista pioggia…

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