Siamo a San Diego. Il nostro volo è andato bene, volo tranquillo, le bici ci sono e sono già pronte a partire; le ho montate questa mattina nel corridoio del motel dove stiamo alloggiando prima della partenza.
La downtown è molto bella e la giriamo serenamente in bicicletta, scoprendo il lungomare, i giardini pubblici e il porto. Pedalare tra i grattacieli è una esperienza nuova per noi ma il traffico qui è quasi inesistente e lo si fa davvero in modo molto sereno. Per pranzo capitiamo in una sorta di festival dello street food e ci sbraniamo un paninazzo alla americana con una punta di messicano, giusto per entrare nel mood giusto.
Rientrando verso sera passiamo per dei giardini pubblici e incrociamo un gruppo di militari che corre cantando come fossero in “Full Metal Jacket”. Appena più in la una bandiera degli U.S.A. Veramente gigantesca sventola orgogliosamente mentre noi cerchiamo una grocery per far provviste per domani.
Comprati acqua e cibo cerchiamo un posto per la nostra “ultima cena” in territorio americano e andiamo nella “OLD Town”, una sorta di villaggio di Gardaland dove hanno ricreato le sembianze dei villaggi dei film western. Non so se San Diego fosse veramente così un tempo, ma è carina anche se palesemente farlocca.
ceniamo a lume di candela in un dehors che per noi, essendo comunque gennaio, è una cosa decisamente inusuale.
Una volta in stanza spegnano la luce e fatichiamo a prendere sonno: siamo troppo eccitati e un po’ timorosi per quello che ci aspetta nei prossimi giorni!
Ci svegliamo presto e scendiamo per colazione: waffles, pancakes, succo di frutta e caffè mentre le nostre bici, già pronte e cariche di tutto, fanno capolino dal corridoio della saletta esterna. Si avvicina una signora dai tratti messicani e ci chiede dove stiamo andando. “Partiamo da qui e pedaleremo nel deserto della Baja California fino a La Paz”
“Che bel viaggio, la Baja è bellissima e la gente stupenda, ma fate comunque attenzione, io vi ricorderò nelle mie preghiere” ci risponde con un sorriso enorme tenendo le due mani incrociate sul petto, come a dire che lo farà davvero.
È stato commovente vedere una persona perfettamente estranea “prendersi cura di noi” e con il cuore più leggero andiamo dal lungomare dove abbiamo appuntamento con altri tre ragazzi per pedalare il tratto fino al confine dato che è consigliato non farlo da soli.
Alle 7.30 la coppia di Americani, Amanda e Devon sono già li ad aspettarci mentre il giovane inglese Ali arriverà qualche minuto dopo. Ci conosciamo, scambiamo quattro parole per conoscerci e iniziamo la nostra pedalata per uscire da San Diego. La corsia ciclabile è ovunque e una volta fuori dal centro abitato il traffico è praticamente nullo; attraversiamo la zona residenziale sulle basse colline mentre il sole, rabbioso, inizia a scottare, facendoci solo intravedere quel che sarà nei giorni a venire. Ci spalmiamo la crema solare e continuiamo il lungo trasferimento verso le montagne. Dopo circa 50km “dentro un film” dove le auto sono tutte dei pickup con motori 6000, i camion enormi e le villette tutte ordinate con la bandiera in veranda, vediamo finalmente davanti a noi il monte Otay. costeggiamo l’omonimo lago e ci fermiamo in un campeggio a fare un piccolo pic nic per pranzo; nello shop accanto troviamo un sacco di cibo a dir poco strano ma anche dei ghiaccioli per rinfrescarci un po’ prima di intraprendere la scalata.
La temperatura è rovente ma è ora di ripartire. Il GPS, impietoso, ci indica la via: una striscia di sterrato che taglia un ripida collina con una pendenza che, da sotto, pare impossibile da pedalare. Optiamo per dividerci e di pedalare ognuno al suo passo e di ritrovarci tutti insieme al colle. 10km ci separano dal “Dog HouseJunction” dove finalmente la strada piegherà in discesa, ma arrivarci, complici i 26 gradi e la totale assenza di ombra non aiutano di certo. A tratti, anche per le bici veramente pesanti, si mette il piede a terra e si spinge, anche se Samy ed io cerchiamo di pedalarcela tutta nonostante la nostra totale assenza di preparazione; Samy non pedala seriamene da circa 6 mesi, io poco meno ma la testa dura non ci manca e arriviamo al passo per primi nonostante siamo i “vecchi” del gruppo. Amanda e Devon arriveranno una decina di minuti dopo e infine anche Ali, sereno e sorridente con la sua surly nera e il suo bagaglio enorme (Ali ha quasi il doppio del tempo a disposizione rispetto a noi e se la prenderà con comodo).
Dal passo volgendo lo sguardo ad ovest, tra la foschia, si intravede la Sky Line di San Diego mentre ad est, laggiù tra le colline, quelle case piccole piccole sono la periferia di Tijuana. Una jeep della polizia di frontiera e i numerosi cartelli di avviso ci indicano che ci stiamo avvicinando al confine con il Messico. Un misto di timore ed eccitazione si fa sentire mentre iniziamo a scendere tra le colline brulle, una discesa lunghissima e sassosa, con dei panorami che ricordano, a tratti, quelli delle avventure di Will E. Coyote…
Nel tardo pomeriggio siamo in fondo alla discesa e iniziamo a guardarci intorno per accamparci per la notte: decidiamo di salire in cima alla collina e troviamo finalmente uno spiazzo dove posizionare le nostre tende (tranne Ali che dorme sotto le stelle in un sacco Bivy). Ci sistemiamo, prepariamo qualcosa di caldo mentre il sole tramonta e l’aria, di colpo si fa da frizzantina a fredda. In lontananza un coyote ci guarda incuriosito. Il sole tramonta e siamo nel buio più totale; ci chiudiamo in tenda e cerchiamo di dormire.
Un branco di coyote ci canta la ninna nanna ululando per buona parte della notte.