Come ogni volta in cui mi preparo per un tour mi accorgo sempre di aver dimenticato qualcosa. Sono le 22 di mercoledì quando penso che, forse, è meglio se prendo con me giacca-pantaloni-calze in gore tex. Siamo ad Agosto, ok, ma passerò, prima o dopo, a quote elevate in piena notte. Potrebbero servirmi!
Mi reco così a Courmayeur per dormire sul posto nel mio fido furgone, in modo da non dovermi svegliare troppo presto per il trasferimento. Dormo male, sono agitato, non riesco a riposare… Continuo a pensare che sto facendo una fesseria, che forse avrei dovuto prendere la tenda o almeno il sacco a pelo, che forse è il caso di star tranquillo visti i risultati del Great Divide e che i fastidi ai piedi ancora oggi si trascinano. Ma sono determinato, sono almeno 3 anni che vorrei fare di nuovo questo giro (la scorsa volta lo feci in 3 tappe con degli amici) e domattina si partirà. Amen. Se poi avrò problemi un bus o una chiamata a Cora e mi farò venire a prendere, non sono nel deserto dei Gobi!

Alle 3.30 l’ennesimo risveglio della nottata e decido che a sto punto è meglio partire. Esco dal furgone e sento il fresco della notte avvolgermi. Ci sono 9°, tutto tace, tutto dorme. Passo di fianco ad un fornaio e sento il profumo del pane fresco e delle brioches inondare l’aria! Mi fermerei, ma se inizio così non ne vengo più alla fine. Salgo tranquillo tutta la Val Veny, su asfalto, con un passo tranquillo; il 33-24 mi sembra un rapporto adeguato allo scopo di oggi, anche se in piano mi rallenta molto. Ma la single speed è così, è “una coperta corta” quindi o adegui il rapporto da una parte o lo fai dall’altra, non c’è verso! Inizio la salita al Lac Combal, il termometro scende ad ogni sguardo fino a fermarsi ai 2°; in lontananza, lassù, vedo le luci del Rifugio Elisabetta Soldini, come un miraggio. Mi sembrano così distanti e, soprattutto, così in alto! Sul fondo valle la nebbia creata dall’umido del torrente da un che di magico all’ambiente, e distinguo le cime circostanti illuminate da una luna quasi piena tanto che a tratti pedalo cn solo la piccola frontale da 70 lumens accesa e spengo la potente sule che ho sul manubrio. In circa due ore e mezza dalla mia partenza sono al colle De La Seigne. La grossa luna davanti a me mi illumina la strada, mentre alle mia spalle il cielo sta letteralmente infuocando le cime delle montagne; pura poesia!


Il tempo di indossare una cannotta in lana merino, i copriginocchia sempre in lana e il piumino per la discesa e tutto si schiarisce. Finalmente vedo Il Monte Bianco sopra di me, e un pensiero vola a mio padre che da lassù vigilerà su di me. Di fronte a me il lungo sentiero che porta a Les Chapieux è già visibile. Posso scendere a luci spente ormai, così risparmio la batteria per quando ce ne sarà bisogno!!!


Il sentiero che porta a valle è molto bello, tecnico il giusto, mai troppo difficile non mi mette in difficoltà nonostante i 16/17kg di bici e la forcella rigida. In passato l’ho fatto pure con la Fargo e il suo drop bar senza prendere rischi inutili! Inizio a scendere, prima con un pò di attenzione, poi mi faccio prendere un pò dal sentiero, e, in poco tempo, sono a fondo valle. Mi fermo per svestirmi e per sgranocchiare qualcosa prima di salire al Cormet De Roselend, su asfalto. Salgo con calma, senza forzare, mi ricordo che tra poco ci sarà da salire decisi per giungere al Col De La Gittaz. La prendo con calma e continuo ad ammirare le vette che mi circondano con, su tutte, Les Aiguilles Du Glacier che sovrastano nel panorama sulla catena del Bianco. Splendido!
Non mi soffermo molto al Cormet, giusto il tempo di fare una foto con la bici, da aggiungere a quelle fatte con la Fargo, bici da corsa, in moto, col furgone… una in singlespeed mi mancava!

Scendo al Barrage dove la diga ha creato un immenso lago blu e abbandono finalmente l’asfalto per salire ad un primo colletto che, dopo un single track umido e non troppo difficle, mi porterà ai piedi della prossima vera salita. A vederla da qui sembra una cosa disumana, impossibile farla in singlespeed! Scendo per portarmi ai piedi di questa salitona e, finalmnete, il sole inizia a scaldarmi. Mi svesto un pò e mi preparo alla salita.

Alla fine si revela meno dura del previsto anche se, senza l’ausilio dei cambi, non è proprio una passeggiata. Adotto così la mia tecnica “collaudata” per questo tipo di salite, ossia alternando i traversi tra un tornante e l’altro pedalando una volta da seduto e una volta in piedi. In men che non si dica mi trovo ai piedi del colle, nel tratto di circa 200m di dislivello da affrontare a piedi. Le mucche intorno a me, incuriosite dalla mia presenza, smettono di brucare e mi guardano con quel che si dice “occhio bovino” poi riprendono il loro masticare erba di alta montagana. Io sfilo silenzioso e mi porto in cima al Col de La Gittaz.
Ancora, alzo lo sguardo e vedo troneggiare il Bianco. Oggi mi farà compagni per tutto il giorno!

Inizio a scendere su un sentiero finalmente tecnico e (a tratti troppo) pietroso. Col carico non me lo godo come meriterebbe, ma è lo scotto da pagare per fare le cose come le sto facendo oggi: meglio avere la bike carica che tenere uno zaino pesante sulle spalle per 24 ore di fila!
Ritrovo l’asfalto in fondo al single track, che mi porta al Col Du Joly. Trafficato di turisti e “trekkers”, si sente solo il vociare degli italiani. I francesi e gli inglesi chiacchierano tra loro, mentre gli italiani urlano come a voler far sentire a tutti la loro presenza… Meno male che il panorama mi fa distrarre e mi incanto ancora una volta dinnanzi allo spettacolo bianco che mi sovrasta! Inizio a scendere verso Les Contamines, e opto per la poderale, un pò per non perdere troppo tempo, un pò per non prendere inutili rischi. Oggi non è il caso di far scemate e di picchiare il naso in terra!

Attraverso il centro abitato frullando col mio rapportino che sembra fin troppo agile ma presto, molto presto, mi accorgo che non lo è per niente! Il Col De Voza mi sta aspettando e le sue rampe piegherebbero chiunque, anche se munito di rapporti agilissimi e bici da 8kg! Meno male che ho messo le scarpe comode per camminare: inizio a spingere. Solo a tratti riesco a pedalare, ma lo sapevo, l’avevo messo in conto! Dove si fa più (troppo) ripido scendo e spingo, senza sprecare inutili e preziose energie. Con questa tecnica raggiungo così, finalmente, il colle, dove mi concedo un bel panaché da mezzo litro. Me lo scolo e mi avventuro nel sentiero della vecchia pista da DH dismesso che porta a Les Huches. Dismesso, appunto! A tratti passo in passerelle (spesso con assi spezzate o mancanti) e devo scavalcare alberi caduti, ma alla fine sono a valle sano e salvo, mi sono pure divertito a scendere!!!

Attraverso il paese e prendo la ciclabile sterrata che porta a Chamonix. A tratti, dalle aperture nel bosco, si vedono i ghiacciai che sembrano appesi sopra alla testa di chi li guarda, maestosi e imponenti! Passo in centro che, come al solito, brulica di persone di ogni tipo, dal bauscia con camicia e cardigan appoggiato alle spalle alla ragazza giapponese con zaino più alto di lei carico di corde e piccozze… Chamonix è veramente la capitale dello sport, e vedere tutti quei bimbi appesi alle pareti ad arrampicare con le loro mamme che gli fanno la sicurezza mi fa pensare ai bimbi che vedo al parco giochi sotto casa che vanno sullo scivolo mentre le mamme fumano e guardano il cellulare tutto il tempo… Che sia una questione di cultura? Non lo so, ma qui mi sento a casa mia!

Entro in un petit Casinò e mi prendo una coca gelata e mezzo chilo di uva che mi gusterò pedalando sulla ciclabili di Chamonix Les Praz… Questa dipendenza da uva mentre pedalo mi è nata lo scorso anno in Grecia, durante la Hellas Trans Mountains, e non mi lascia più… una volta mangiavo un sacco di m&m’s, ora cerco uva come fossi un tossico che vuole soddisfare la sua dipendaenza. Trovo buffa questa cosa, anche perchè non sono mai stato un grande appassionato di uva (se non quella spremuta e imbottigliata, ma questo non si abbina molto bene con l’ultra-endurance in mtb!).
Arrivo, tra varie deviazioni, rampette e sentieri, a Tour, dopo Argentière, e decido che per salire al col De Balme è meglio prendere la funivia. La strada infatti è piuttosto dissestata e so che è al limite del portage già con i cambi, figuriamoci in SS! Salgo in un baleno e inizio a scendere, dopo il cole De Balme dal versante svizzero seguendo le indicazioni TMB. Lungo il single track incontro tre ragazzi inglesi che sono al loro quarto ed ultimo giorno sul tour, e rimangono basiti di fronte alla mia bike così esile e senza le marce, tutta carica… “Ma perchè sei così carico?” mi chiede uno di loro. “sai, quando stai più di 18-20 ore di fila in sella lo zaino è un grosso fastidio”… allora mi chiede il perchè gli avessi risposto in quel modo, perchè gli parlo di tutte quelle ore, e gli racconto della mia strada percorsa e di quella che sto per percorrere ma soprattutto della mia intenzione di impiegarci meno di 24 ore a fare tutto. Increduli ci scambiamo strette di mano, pacche sulle spalle e sorrisi e ognuno prosegue sulla sua via!
… e il col De Balme, al confine tra Francia e Svizzera.
In un attimo sono a Trient e salgo al Col de La Forclaz su asfalto. In pratica ho percorso la stessa strada di 7 anni fa e quando vedo sul gps che la traccia passa da una sterrata nel bosco mi viene in mente che Gianfranco mi aveva detto “quando sei a Trient prendi la vecchia strada militare, almeno non c’è traffico” ma ormai sono quasi su. Amen, la prossima volta farò più attenzione. Sbuco al colle e noto una ragazza al bar che mi saluta e mi viene incontro: è Giuliana, so che sta facendo il giro su strada ma non credevo di trovarla qui a quest’ora! Mi fermo un pò a chiacchierare con lei e i due ragazzi che la accompagnano e dopo un pò riprendo il cammino. Già, è proprio il caso di dire “il cammino”…
Gianfranco mi aveva detto di fare “il solito giro” scendendo fin quasi a Martigny per poi salire su asfalto a Champex, ma io ho dato retta ad un altro che mi diceva che per stare sul percorso del TMB si poteva passare da Bovine, accorciando il percorso senza fare asfalto e che il sentiero appena rimesso a posto era quasi tutto ciclabile. Dopo due ore scarse di spinta, scalinate nelle rocce, sulle radici e imprecazioni, finalmente sbuco in un posto meraviglioso, con un alpeggio immerso nei prati circondato da boschi. Il pastore è nel prato, seduto a guardare le sue bestie al pascolo: sembra l’uomo più sereno del mondo. Quassù non avrà grossi pensieri… un pò lo invidio! Continuo a spingere fino all’inizio della discesa, dove mangio qualcosina prima di immeeremi nel single track che mi porterà a Champex. A tratti mi ricorda molti dei posti attraversati in Canada e nel Montana e mi rendo conto che vivo veramente in un paradiso e che non ho bisogno di attraversare il mondo per ammirare certe meraviglie. Sono fortunato!

Il sentiero è insidioso, molto smosso e a tratti ripido, ma si percorre, con un pò di attenzione, senza problemi.
Tra mille, sfiancanti, sali-scendi sono finalmente a Champex Lac dove mi sdraio un paio di minuti in una aiuola per riprendere fiato. Ma non troppo, nel bosco sta iniziando a venire buio e mi ricordo che il sentiero che scende nella Val Ferret Svizzera è pieno di radici ed è insidioso. Lo imbocco senza indugi e mi diverto come un matto. Mi sembra di averlo percorso solo ieri, è incredibile come nella vita mi dimentichi di mille cose mentre qui mi sembra di essere su un sentiero dietro casa!

Fatto, ci sono! Inizia ad imbrunire e abbandono la traccia che passa nel bosco ai piedi della montagna; mi ricordo di un sentiero stretto e a tratti esposto, di rampette e quant’altro, ma mi ricordo anche che inizia a venire buio e che sono da solo. Ok che ho con me lo spot e da casa possono controllare tutto il tempo la mia posizione, ma da quando ho lasciato il colle de La Forclaz non ho più incontrato nessuno (a parte il pastore di prima) e non ho molta voglia di andarmi ad incasinare da solo.
Salgo con calma lungo la strada asfaltata che mi porterà ai piedi dell’ultima sterrata per il Grand Col Ferret, permettendomi le varianti sterrate più semplici ma la fatica ora si sente tutta. Adeguo il mio passo (per quel che posso) alla disponibilità delle mie gambe e con molta calma giungo a La Fouly. Ho quasi una mezza idea di buttarmi nel bosco e dormire qualche ora, ma poi penso che così facendo potrei trovarmi a salire il colle a notte fonda, quindi decido che andrò avanti, cercando di chiudere il giro prima delle 24 ore che mi ero prefissato.
Mi fermo 5 minuti su una panchina, credo di essermi addormentato, poi di colpo spalanco gli occhi e risalgo in sella. Mi sembra di aver dormito per ore, mi sento rigenerato e, con rinnovato vigore, imbocco la strada sterrata che per 1’100 metri mi porterà all’ultimo colle di questo tour.
La strada è molto ripida, al limite per una singlespeed, e sono parecchi i punti in cui sono obbligato a scendere a spingere. Ma il grosso problema è che ormai le forze mi hanno abbandonato! Riesco a spingere, ma appena salgo in sella e provo a pedalare, anche nei tratti meno ripidi, mi manca la forza da imprimere sui pedali. Poco male, a spingere ce la faccio, quindi spingo!
ormai è notte, tutto buio, facendo due conti credo che sarò al colle per mezzanotte e mezza e continuo il mio lento progredire sulla ripida salita. Ad un certo punto la stanchezza prende il sopravvento, sento gli occhi che mi si chiudono, ogni forza abbandona il mio corpo… Mi abbandono a terra in un micro sonno ristoratore. Anche qui non so per quanto tempo sono rimasto fermo, credo per non più di qualche minuto, ma ancora una volta l’effetto è quello di una dormita colossale. Riparto, sempre a piedi, e passo per il rifugio. Le luci sono tutte spente, staranno tutti dormendo per “ricaricare le batterie” e per affrontare un’altra giornata di trekking, ma io proseguo, il colle è sempre più vicino, io sto benone e posso arrivare su nei tempi previsti!
Continuo la mia ascesa nel buio, il sentiero illuminato dalla mia luce sul manubrio, quando un gelido vento si alza… Benedico il momento in cui ho preso giacca e pantaloni in gore-tex! Li indosso e proseguo avvertendo subito la protezione che mi danno dal vento, ma non mi fanno sudare più del dovuto… Grande cosa questo materiale!
Mancano ancora 2/300 metri al colle, sono quasi in cima, ma stento a star svelio: mi si chiudono gli occhi e credo di essermi quasi addormentato mentre camminavo… Visti i tratti esposti del sentiero cerco un punto riparato dal vento e, di nuovo, mi sdraio a terra e cado in quei pochi magnifici minuti di sonno: credo anche di aver sognato qualcosa, forse una bagno caldo, ma mi sveglio e mi rimetto in piedi. “forza, fino al colle poi è finita” mi dico per darmi forza!
“Attacco” l’ultimo tratto e a mezzanotte in punto sono al colle. Ci sono 6°, una nuvola bassa rende l’atmosfera magica, da la giusta nota a questa avventura.

Mi rivesto come ho fatto al mattino e inizio, con molta prudenza, la discesa verso il rifugio. Mi rendo conto, grazie alla luna piena, che il sentiero è bello esposto, quindi cerco di essere il più prudente possibile, evitando rischi inutili e scendendo a piedi dove non mi sento sicuro. Impiego un bel pò a percorrerlo tutto, credo che da qui con la krampus possa essere uno spasso, ci tornerò!
Dal rifugio opto per la strada sterrata e, in men che non si dica sono in fondo, all’imbocco della strada asfaltata che mi porterà a Courmayeur. Incredibile sono alla fine ma… e qui due nel buio? Cosa fanno all’una del mattino in piedi in mezzo al nulla quassù?
“Grande Marco!!! bravissimo!!!” sento urlare.
Ma, Ma, Ma…
Mi avvicino. Sono due amici che per tutto il giorno hanno seguito la traccia del mio spot e mi sono venuti incontro per festeggiarmi e portarmi una birra! Wow, e chi se lo aspettava!!! Mi ha fatto un piacere immenso vederli e ho capito che, forse, quello che avevo appena concluso è stato veramente un qualcosa di epico…
Ma un GRAZIE enorme lo voglio dire anche qui. E’ stato un gesto molto bello e apprezzato!
Mi scolo la birra e riparto in discesa e, finalmente, dopo 21 ore dalla mia partenza, di cui solo 3 di pause, sono pronto per tornare a casa, riabbracciare Cora, tuffarmi in un bagno bollente e abbandonarmi ad un sonno vero, nel mio letto, al caldo ed in totale sicurezza e serenità… Ahhh!!! casa dolce casa!
Grande Marco!!
Complimenti per l’impresa e per il racconto.
Sei un grande Marco!!
Sono rimasto estasiato, ho letto la tua avventura davvero epica anche alla mia compagna Chiara…
Complimenti infiniti, Riccardo e Chiara
bel giro